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IL MANAGEMENT ITALIANO È IN CRISI?

Immagine del redattore: Ing. Claudio M. LauriIng. Claudio M. Lauri

La gestione d’impresa in Italia si trova a fronteggiare una sfida strutturale che ha ripercussioni dirette sulla produttività, l’innovazione e, in ultima analisi, sulla competitività delle aziende a livello globale. Un recente confronto europeo mette in evidenza un dato preoccupante: i manager italiani sono mediamente più anziani e possiedono un livello di istruzione inferiore rispetto ai loro colleghi di altri paesi europei (Eurostat, rapporto 2023). Questo divario è più di una semplice questione anagrafica o accademica; è un nodo che condiziona la capacità delle imprese italiane di rispondere efficacemente alle sfide del mercato.


Il basso livello di istruzione manageriale, infatti, si traduce in una minore propensione all’investimento in ricerca e sviluppo, alla digitalizzazione e all’adozione di modelli organizzativi innovativi. Questi fattori, indispensabili per restare competitivi nell’economia globale, vengono spesso trascurati. Di conseguenza, molte aziende italiane restano ancorate a metodi tradizionali, con una produttività stagnante e una crescente difficoltà nel competere con realtà più dinamiche ed evolute.


Ma come si è arrivati a questa situazione? Il contesto italiano è caratterizzato da un tessuto imprenditoriale composto da piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare. Questo modello ha garantito resilienza in periodi di crisi, ma ha anche favorito una gestione conservativa legata a tradizioni aziendali e a una visione prudente del rischio. Le barriere al cambiamento includono la scarsa disponibilità di risorse per la formazione, il timore di modificare equilibri consolidati e una limitata apertura ai mercati internazionali. La formazione manageriale, percepita come un costo anziché un investimento, viene spesso trascurata, con conseguenze negative sull’intero sistema produttivo.


Le conseguenze sono tangibili. Aziende guidate da dirigenti con un profilo formativo più basso tendono a ridurre il loro impegno in settori strategici come la sostenibilità, l’intelligenza artificiale e la transizione digitale. Questo rallenta il loro sviluppo e, nel medio-lungo termine, indebolisce la posizione competitiva del paese.


La soluzione richiede un cambiamento culturale e strategico. Nel breve termine, bisogna promuovere la formazione continua per i manager attuali, integrando competenze tradizionali con skill digitali e di leadership. Nel lungo termine, occorre favorire un ricambio generazionale con profili giovani e qualificati, capaci di innovare e competere a livello internazionale.


In questo contesto, istituzioni, associazioni di categoria e aziende stesse devono collaborare per creare un ecosistema che valorizzi il capitale umano e favorisca la diffusione di competenze manageriali avanzate. Solo attraverso un impegno condiviso sarà possibile colmare il divario con il resto d’Europa e restituire alle imprese italiane un ruolo di primo piano nello scenario economico globale.

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